Uno dei processi costruttivi che più ricorrono nelle ricerche degli artisti programmati e cinetici è quello basato sul modulo e la serie.

Si inizia con lo scegliere una forma, un pattern che di solito è una figura geometrica primaria, un quadrato, un cerchio, un triangolo.

Il modulo viene poi sottoposto ad operazioni diverse che lo moltiplicano o lo modificano regolarmente.

Attraverso l’iterazione, l’accrescimento proporzionale, la variazione scalare ma anche la torsione, la compenetrazione, la divisione, la sovrapposizione, per indicare solo alcune delle possibilità programmabili, si arriva alla creazione di strutture bi e tridimesionali seriali e complesse, a dei modelli da sottoporre alla verifica della qualità estetica e alla selezione.

Quello che Enzo Mari dice a proposito del suo lavoro in questo senso può valere in generale:
“La modularità degli elementi (cioè la loro proprietà di aggregazione) permette, nel corso della verifica, di individuare, oltre quelle previste nel momento della progettazione, altre possibilità di relazione insite nella loro stessa costituzione.

Il modulo e le sue possibilità di programma, in quanto nel modulo stesso sono direttamente o indirettamente impliciti i diversi modi di relazionarsi, sono il momento determinante della ricerca e del suo progetto.

Con i diversi programmi si tenta di attuare modelli analoghi al procedere delle serie di particelle naturali, che si relazionano tra loro omeostaticamente, nell’occupare lo spazio.

Cioè, definito lo spazio entro il quale si dovrà sviluppare il programma, si stabilisce un determinato ordine con cui i moduli devono occupare quello spazio, ossia le loro progressioni di spostamento lungo i tre assi cartesiani.

Si attua quindi l’occupazione dello spazio senza apportare alcuna variazione al programma iniziale e il risultato, qualunque esso sia, è significativo per la ricerca” (Enzo Mari, Funzione della ricerca estetica, Edizioni di Comunità, Milano, 1970).

Per riferirsi agli artisti presenti nel museo questa metodologia è in atto per esempio nelle opere di Marcello Morandini, Angelo Bertolio, Annamaria Gelmi.

Nel caso di Attilio Marcolli si interviene all’interno del modulo stesso che viene scisso in una serie di piani obliqui che fanno apparire una serie di trasformazioni che evidenziano le figure di alcuni solidi geometrici.

Alla base dell’operazione di Gaetano Kanisza c’è invece un pattern “organico”, l’impronta del pennello, che moltiplicata forma gradualmente un nucleo di segni di forma sempre diversa, che si viene ampliando attraverso apporti successivi in nuovi nuclei costruttivi.

La configurazione finale, che sembra in verità potenzialmente infinita, risulta una fitta trama, una sorta di tessitura.

                                                                       

Pagina aggiornata il 02/12/2024

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